
Nel mese di febbraio 2025, la Corte Suprema di Cassazione ha emesso una sentenza significativa riguardante l’utilizzo delle chat di WhatsApp come prove documentali durante gli accertamenti fiscali condotti dall’Agenzia delle Entrate e dalla Guardia di Finanza. Questa decisione ha suscitato un ampio dibattito, sottolineando l’importanza di considerare che, oltre ai messaggi testuali e vocali, anche le emoji utilizzate come reazioni possono essere considerate prove in contesti legali.
WhatsApp: l’importanza delle emoji e dei messaggi vocali come prove legali
Le conversazioni su WhatsApp, se acquisite in modo legittimo, possono essere utilizzate come prove documentali su supporto informatico. Questo include non solo i messaggi scritti, ma anche i messaggi vocali e le emoji, che possono risultare cruciali in determinati casi. La sentenza n. 1254/2025 della Corte Suprema ha aperto un nuovo capitolo nella giurisprudenza riguardante la validità di tali prove, spingendo a riflessioni più ampie sull’argomento.
Le emoji possono avere un peso specifico in ambito legale. Ad esempio, nel diritto civile, le emoji possono essere utilizzate come prove di infedeltà in situazioni di separazione. Diverse sentenze recenti hanno evidenziato come anche le reazioni più semplici possano avere conseguenze legali rilevanti.
Il Tribunale di Foggia, con la sentenza n. 1092/2022, ha stabilito che le emoji, come i cuoricini inviati in risposta a un messaggio, possono essere considerate motivo di addebito della separazione. Questo dimostra come anche un gesto apparentemente innocuo possa influenzare decisioni legali significative.
Allo stesso modo, il Tribunale di Napoli, con la sentenza n. 522/2025, ha confermato che un genitore collocatario ha diritto al rimborso delle spese straordinarie per il mantenimento dei figli, basandosi su una semplice reazione di “ok” ricevuta in chat. Questo caso sottolinea l’importanza delle comunicazioni informali nel contesto legale.
Infine, il Tribunale di Milano, nella sentenza n. 823/2025, ha stabilito che un messaggio vocale può costituire prova del consenso del creditore a un accordo, senza necessità di forme più ufficiali come la PEC o la firma digitale. Anche il Tribunale di Torre Annunziata, con una sentenza del 29 dicembre 2024, ha chiarito che un messaggio vocale può annullare un decreto ingiuntivo, dimostrando così la volontà di una parte di recedere da un contratto.
Questi sviluppi giuridici invitano a una riflessione attenta su ciò che si condivide quotidianamente tramite WhatsApp. Ogni messaggio, emoji o audio potrebbe avere ripercussioni legali, rendendo fondamentale una gestione consapevole delle comunicazioni digitali.